Nel tempio dei sette pianeti

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  1. NSAx9000
     
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    Per trovare le maggiori testimonianze dell’antica religione astrale dei Sabei di Harran, occorre recarsi a circa 40 Km dalla città antica, in una remota località desertica conosciuta con il nome di Eski Sumatar. Sette templi sono disposti a una distanza di circa mezzo chilometro l’uno dall’altro intorno al monte centrale che è la sintesi del sistema e dell’intero complesso.

    Il monte sacro, dominato un tempo da una alta torre conica dotata secondo alcune ricostruzioni di rampe a spirale, è oggi un enorme cumulo di macerie ricoperto da una distesa di pietre infrante e mura crollate. Ben poco si riconosce dell’originaria costruzione a sette lati: qualche tratto di mura, alcune basi di torri e pilastri consumati dal vento. La grande quantità di pietra da taglio riutilizzata nella costruzione del vicino villaggio di Sogmatar è sufficiente tuttavia a dare un’idea delle enormi dimensioni della costruzione antica. L’unica caratteristica di rilievo, che trova sorprendente analogia nel resoconto arabo di Mas’udi, è l’imboccatura di un pozzo riempito di macerie e chiuso in superficie da grandi lastre di pietra.

    L’intera collina ha l’aspetto di una grande piramide sepolta: che sia artificiale lo dimostra il modo innaturale in cui sorge dal paesaggio roccioso cirocostante esattamente al centro dell’intero complesso e i numerosi blocchi di pietra affioranti a diversa altezza sui fianchi del monte. Il tutto è oggi ridotto a un tumulo informe, dal diametro di circa 150 metri e con un’altezza non superiore ai 50.

    Tutti gli ulteriori elementi del complesso risultano precisamente orientati in direzione del tumulo centrale, che funge quindi da ideale piattaforma di osservazione.

    Il primo dei santuari planetari, dedicato al dio Luna, occupa la stalla di una modesta abitazione all’interno del villaggio di Sogmatar. Nessuna traccia sopravvive del tempio dedicato a Sin ad eccezione di alcune fondazioni di una probabile sovrastruttura in pietra squadrata e ambienti scavati nella roccia. Le pareti della stalla, annerite dal fumo, recano ancora scolpite nella roccia le originali iscrizioni e formule divinatorie in caratteri siriaci, affiancate dalla raffigurazione del crescente lunare e ritratti di sacerdoti in compagnia della triade divina composta da Sin, Baal Shamen (Baal dei cieli) e Bar Nemre (il figlio del risplendente). Purtroppo la convinzione che le immagini antiche ospitino spiriti e demoni maligni ha causato la quasi completa distruzione delle immagini scolpite di questo santuario rupestre.

    A non molta distanza si trova la base di un’altra costruzione quadrata di cui sopravvive soltanto la camera sotterranea accessibile mediante un passaggio inclinato totalmente ostruito. La completa distruzione della sovrastruttura e l’assenza di iscrizioni o decorazioni impedisce di definire con certezza a quale pianeta questo tempio fosse dedicato.

    Dopo circa mezzo chilometro in direzione Sud-Est una grande piattaforma circolare in bella pietra squadrata segna il luogo del tempio dedicato a Saturno. Secondo un’ipotesi ricostruttiva, le piattaforme circolari erano sormontate da colossali raffigurazioni dei rispettivi solidi planetari, di cui non restano oggi che grandi pile di macerie alla base delle piattaforme. L’aspetto più interessante di questo tempio è la presenza di un corridoio discendente ancora accessibile e in parte sgombro da macerie. Questo conduce ad una piccola stanza di forma cubica posta in corrispondenza del centro della piattaforma e interamente scavata nella roccia. Ogni traccia di decorazioni o iscrizioni all’interno è stata evidentemente eliminata con la trasformazione della camera in tomba e la realizzazione di arcosoli e alloggiamenti per sarcofagi. Uno degli angoli della stanza contiene l’imboccatura di un pozzo quadrato completamente ingombro di detriti, la cui presenza in un ambiente sotterraneo di questo tipo appare quanto meno strana. Riguardo a questo pozzo, le guide locali riportano la tradizione che tutti i templi possiedano un pozzo simile, che è l’accesso ad un vasto sotterraneo che pone in comunicazione tra loro tutti gli edifici del complesso secondo uno schema radiale avente per centro il monte sacro. Questo sotterraneo sarebbe, secondo le guide, collegato ad una grande galleria che conduceva anticamente al tempio della luna di Harran, a una distanza di 40 Km, e da lì fino a sotto la rocca di Urfa (Edessa), 70 Km più a Nord. Purtroppo lo stato rovinoso di tutto il complesso non consente di verificare questa tradizione, ma la presenza dei pozzi è sicuramente interessante e in un certo senso avvalorata dalle enormi gallerie e ambienti sotterranei che si trovano un po’ dovunque nel sottosuolo carsico della regione, alcune delle quali sicuramente artificiali e utilizzate come cave.

    Procedendo in direzione Sud-est, a una distanza di circa mezzo chilometro l’uno dall’altro si trovano le rovine di almeno altri tre templi, uno di forma quadrata e due circolari. In tutti questi casi i corridoi discendenti sono accuratamente orientati verso il monte centrale, ma l’enorme quantità di macerie che ne ostruiscono gli ingressi ostacola ogni tentativo di esplorazione non organizzato.

    Tutti gli edifici del complesso sono circondati da un gran numero di strutture enigmatiche che formano un complesso di altari e piattaforme scavate nella roccia e spesso dotate di canali di scolo e vasche di raccolta. Interi tratti di terreno roccioso sono poi coperte di iscrizioni in caratteri siriaci, alcune appena leggibili, altre profondamente incise su diverse righe. Una di queste iscrizioni è significativa per il fatto che riporta la data del 65 d.C., di poco posteriore dell’ascesa al trono di Tiridate, fornendo elementi utili per la datazione dell’intero complesso.

    Secondo lo studioso Theodor Hary, l’intero complesso sarebbe la rappresentazione a terra di un elaborato diagramma planetario realizzato in occasione di uno spettacolare allineamento astronomico verificatosi il 17 maggio del 93 d.C nel cielo di Harran. Secondo Hary, la disposizione al suolo dei santuari planetari posti in semicerchio intorno al monte centrale rifletterebbe in maniera esatta la proiezione dell’eclittica al momento dell’allineamento.

    In questa chiave astronomica, Hary interpreta anche i numerosi bassorilievi scolpiti sulle roccie in cui è possibile riconoscere i punti di levata delle principali costellazioni. A questo riguardo lo studioso cita un monumentale oroscopo della costellazione del Leone da lui rintracciato nel 1999 – che non è stato tuttavia possibile localizzare durante una prospezione a terra – oltre a una doppia galleria in corrispondenza della costellazione dei Gemelli.

    La mancanza di misurazioni accurate del sito e la quasi totale distruzione delle testimonianze superstiti da parte degli abitanti del luogo impedisce di concludere nulla circa il significato di un tale allineamento planetario per gli astrologi Sabei.
    Non c’è dubbio tuttavia che questo fosse lo stesso santuario dei Sabei di Harran visto e descritto da Mas’udi, dove è ancora forte e presente la tradizione di grandi tesori sepolti.
    Restano comunque numerosi punti irrisolti, a partire dalla ragione per cui un sito così remoto, in una regione desertica e desolata lontana da ogni centro abitato, venne scelto per la realizzazione del santuario planetario di Eski Sumatar. Non vi è dubbio che attente prospezioni debbano avere preceduto la scelta del sito, dove la disposizione dei rilievi naturali doveva esattamente conformarsi a un ordine celeste prestabilito. E del resto sembrerebbe una circostanza ben troppo fortunata – senza ammettere un considerevole intervento di rimodellamento del paesaggio –che almeno sette rilievi dall’apparenza di affioramenti rocciosi naturali possano essersi trovati spontaneamente nelle esatte posizioni richieste dal complesso allineamento.

    Se questo intervento da parte dell’uomo appare evidente nel tumulo centrale, che rivela un’origine chiaramente artificiale, nel caso dei restanti sette santuari planetari ci troviamo invece chiaramente di fronte a una elaborata scultura paesaggistica, in cui formazioni naturali vennero apparentemente riadattate e rimodellate per scopi che restano in ultima istanza sconosciuti.
     
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11 replies since 3/6/2012, 21:46   1593 views
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