LA CRIPTOZOOLOGIA

Introduzione allo studio della Criptozoologia

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  1. cassius1988
     
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    Quando ho coniato il termine "criptozoologia", nella seconda metà degli anni cinquanta, la ricerca sistematica degli animali ancora sconosciuta che io intendevo designare con quel nome, aveva una reputazione decisamente non buona.

    I sarcasmi e gli insulti dei rappresentanti della Scienza ufficiale non avevano cessato di piovere nel corso degli anni sui pochi pionieri che avevano avuto il coraggio e l' imprudenza di dedicarcisi.

    Per aver avuto l' audacia, nel 1802, di introdurre il Kraken e il Polpo colossale nella continuazione de l' Histoire Naturelle di Buffon relativa ai molluschi, il naturalista francese Pierre Denis de Montfort doveva un giorno essere trattato da "cialtrone senza scrupoli" da un malacologo del British Museum, il dott. W.J. Rees.
    Il geniale Samuel Constantin Rafinesque, americano di origine francese, che non aveva esitato nel 1817 a descrivere scientificamente il Gran Serpente del Mare, si era visto espellere dall' Università di Lexington ( Kentuchy ) per le sue stravaganze, ed aveva finito per spegnersi in una miseria spaventevole, solitario e dimenticato da tutti.
    Quanto poi al monumentale trattato che lo zoologo olandese Antoon Corneli Oudemans aveva consacrato allo stesso Serpente di Mare, The Great Sea-Serpent ( 1892 ), la critica scientifica del più autorevole quotidiano londinese, l' aveva classificato come "giochetto molesto e laborioso, oltre che incosciente".

    Nel 1934 il prestigioso anatomista inglese Sir Arthur Keith aveva dichiarato in un' intervista a proposito del "Mostro di Loch Ness" che : "un essere la cui esistenza sia comprovata da numerosi testimoni, ma che non arrivi mai sulla tavola di dissezione, appartiene al mondo degli spiriti".
    E nel 1955 un grande erudito indiano, Swami Pranavananda, riteneva ancora le storie che correvano sull' Uomo delle Nevi dell' Himalaya, "fantasie, esagerate, false e menzognere".

    E' in questa atmosfera di ostilità, di disprezzo e d' ironia che aveva fatto pubblicare in quello stesso anno 1955, Sur la piste des bètes ignorées con la speranza di riabilitare una branca di ricerca mal conosciuta, ed anche di conferirle dei crismi di dignità.
    Tradotta in più di dieci lingue l' opera conobbe un successo enorme in tutto il mondo.

    La critica - soprattutto quella dei giornali scientifici - riconobbe con una grande unanimità che si trattava di un' opera tanto coraggiosa quanto originale, e di un rigore inattaccabile dal punto di vista della Scienza.
    Non mi restava altro che battezzare con un nome ufficiale la disciplina scientifica che avevo contribuito a far conoscere.

    Gli anni sono passati.
    Le nuove idee si sono diffuse e hanno perso la loro originalità.
    Le audacie sono divenute moneta corrente, i dubbi evidenze.
    I lazzi sono terminati.

    Solo qualche conservatore attardato o qualche giovane ignorante azzardano ancora talvolta delle recriminazioni che peraltro non trovano alcuna eco.
    Il nome "criptozoologia" è oggi usato correntemente in tutte le lingue della Terra : è anche entrato in molti dizionari ed enciclopedie.
    E la scienza alla quale si riferisce comincia ad essere insegnata in qualche Università ( così all' Università di Chicago, dal 1980, dal Prof. Roy P. Mackal ), o figura nel programma di certi congressi scientifici ( per esempio al Congresso Internazionale di Biologia Sistematica ed Evoluzionista, all' Università di Sussex, a Brighton in Inghilterra ).

    D' altronde dal 1982 un aeropago di scienziati accademici di molti Paesi - tra cui l' Africa del Sud, la Germania, il Canada, la Cina popolare, gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito e l' Unione Sovietica - hanno fondato nei locali della Smithsonian Institution a Washington D.C., una società internazionale di criptozoologia, l' International Society of Cryptozoology, di cui sono stato eletto presidente.
    La società pubblica un bollettino di attualità trimestrale, The I.S.C. Newsletter, e soprattutto un giornale scientifico annuale Cryptozoology.

    Ad onta di questa reale ufficializzazione della nuova disciplina, è deplorevole constatare che molti di coloro che ad essa si richiamano e che si autodenominano criptozoologi, non hanno ben compreso di cosa si tratti.
    Alcuni di quelli che dovrebbero considerarsi come miei discepoli arrivano al punto di proporre per la criptozoologia delle definizioni di fantasia o del tutto assurde, contraddicendo quella che io ho avuto il privilegio legittimo di stabilire, creando il termine. Un membro del comitato direttivo dell' I.S.C. ha riconosciuto di non avere la minima idea di cosa sia la criptozoologia, ma egli aveva perlomeno il merito dell' onestà. Io sono arrivato a pensare, come diceva Voltaire "Guardatemi dagli amici! Ai nemici ci penso io …".

    Comunque sia non mi pare comunque inutile ripetere qui cosa sia esattamente la criptozoologia, fornendo tutti i chiarimenti necessari. Ma forse è ancora più importante precisare innanzitutto ciò che essa non è.

    Facciamo anzitutto un accenno alle ingenuità più evidenti, e, d’ altronde più diffuse.
    La criptozoologia non ha molto a che vedere con quella che talora viene chiamata la caccia ai “mostri” – che altro è un mostro se non una maniera popolare di denominare ogni animale che esce dalla normalità? –


    Tuffarsi nel Loch Ness per tentare di arpionare uno degli animali enigmatici del lago scozzese; fare spedizioni attraverso le altezze dell’ Himalaya sperando di incontrare l’ inafferrabile Yeti : braccare il Bigfoot, il gigante irsuto dai grandi piedi, tra le montagne boscose del sud-ovest dell’ America Settentrionale, o sguazzare tra le paludi della enorme foresta congolese per tentare di filmare il mokélé-mbèmbè, che potrebbe essere un dinosauro scampato dall’ Era Secondaria, sono tutte imprese certamente appassionanti, ma non appartengono in sé alla ricerca criptozoologica ( possono tutt' al più esserne il risultato ).

    Qualsiasi volonteroso può evidentemente dedicarvisi, con più o meno fortuna, mentre invece la criptozoologia richiede, oltre a una indispensabile formazione di zoologo, la padronanza di un metodo di investigazione minuzioso e paziente, talvolta anche fastidioso.

    Dopo l’ avvistamento, per quanto sia vago e casuale, di una forma animale apparentemente sconosciuta; questo metodo consiste nell’ accumulare poco a poco su di esso, a partire dalle fonti più varie, la maggior quantità possibile di informazioni, nell’ analizzare questi dati eterogenei, nel compararli e filtrarli eliminando tutto ciò che è ascrivibile a burle, sviste, o variazioni individuali, fino a giungere a una sintesi coerente e logica.

    E’ insomma ricorrendo a tutte le risorse delle scienze zoologiche, ma anche a quelle di molte branche diverse dalla conoscenza, come la mitografia, la linguistica, la semantica, l’ archeologia e la storia, che il criptologo può sperare di costruire una specie di identikit della creatura in questione.

    Questo identikit non si limiterà solo alla descrizione dell’ anatomia esterna, ma dovrà comprendere dettagli relativamente precisi sulla fisiologia, il comportamento ( etologia ), l’ habitat ( ecologia ) e la distribuzione geografica della forma animale in oggetto. Esso permetterà in definitiva al criptologo di identificarla più o meno precisamente, cioè di classificarla il più esattamente possibile tra le categorie del sistema della natura, e magari anche di darle legittimamente una denominazione scientifica.

    A partire da quel momento il criptozoologo stesso, o un qualsiasi collaboratore istruito e preparato dal lui, o uno dei volontari evocati poco prima, ma di preferenza uno specialista della ricerca e della cattura degli animali, saprà con la precisione che è auspicabile : dove e in quale ambiente cercare l’ animale in questione, e che tipo di impronte di passi o di altre tracce può lasciare; come riconoscerlo a prima vista in caso di incontro; in che periodo della giornata ed in quale stagione si hanno più possibilità di avvicinarlo; per mezzo di quale esche specifiche è possibile prenderlo in trappola e quindi catturarlo – sia pur soltanto su di un film – o immobilizzarlo temporaneamente per il tempo necessario ad un esame scientifico approfondito; e, idealmente, se non è possibile stabilire con lui dei rapporti pacifici o addirittura amichevoli, e quindi studiarlo a piacere, come Jane Goodall ha fatto con lo Scimpanzé, e come George Schaller o la rimpianta Dian Fossey hanno fatto con il Gorilla di montagna.

    Poichè prima ho usato il termine “mostro”, è il momento di sottolineare che la criptozoologia non si occupa affatto soltanto di creature più o meno fantastiche, fortemente mistificate d’ altronde dalla stampa sensazionalistica o dagli altri mass-media, come il “Mostro” di Loch Ness, l’ abominevole Uomo delle Nevi, o il Bigfoot rapitore di bionde californiane. Nel 1985 ho preparato una lista di riferimento, degli animali apparentemente sconosciuti che interessano la criptozoologia.

    E non è affatto un repertorio di animali favolosi.
    Comprende circa 125 animali : una cinquantina di forme acquatiche e settantacinque forme terrestri. Tra quelle acquatiche la maggior parte sembra siano da classificare tra gruppi attuali del tutto prosaici, come i pinnipedi, i sirenidi o i cetacei, i varani, i coccodrilli o i serpenti, gli squali, le anguille o i siluri, i calamari o i polpi.

    Tre o quattro dei cetacei derivano senza dubbio dal sotto-ordine, che si presume estinto, degli Archeoceti. E solo una mezza dozzina di rettili potrebbero eventualmente appartenere a dei gruppi ritenuti fossili, come i dinosauri, i plesiosauri o i mosasauri.

    Tra le forme terrestri, tutte, a meno di una o due eccezioni, - dei rettili volanti? – si inseriscono nelle famiglie presenti ai nostri giorni. Ci sono tra queste, delle modeste antilopi, degli orsi di media taglia, alcuni felini ed alcuni canidi, una manciata di scimmie e di pipistrelli, ed anche un piccolo mammifero simile a una marmotta, uno o due uccelli corridori, oltre a una specie di orbettino ed una grossa vipera. Molti animali insomma che non risalterebbero affatto nel catalogo della fauna attuale.

    Non lo si ripeterà mai abbastanza : la criptozoologia non ha niente di una zoologia segreta od occulta – come alcuni hanno suggerito o finto di credere per screditarla – non più di quanto la paleontologia ( dal greco palaios, antico, onta, esseri, e logos, discorso ) non sia una scienza arcaica, desueta, degli esseri viventi. Infatti ho coniato in maniera analoga il termine “criptozoologia” a partire dalle radici greche kryptòs, nascosto, zoa, animali, e logos, discorso, e non significa altro che “la scienza degli animali nascosti”, proprio come la paleontologia è “la scienza degli esseri antichi”. Diffidate dunque di coloro che scrivono cripto-zoologia, con un trattino in mezzo!

    Quali sono dunque questi animali nascosti?
    Quelli che sfuggono ancora, o si dissimulano ostinatamente, ai nostri tentativi di cattura.
    Li si chiama più comunemente “sconosciuti” benché siano essi in genere ben conosciuti dalle popolazioni locali e benché anche da noi abbiamo almeno notizia della loro esistenza, e talora anche di molti indizi sparsi sul loro aspetto e sul loro comportamento. Può darsi che questi animali siano ben noti ai paleontologi : talvolta somigliano dannatamente a degli esseri creduti estinti e fossili, che sarebbero sopravvissuti in incognito fino ai nostri giorni.

    Niente di stupefacente in ciò : quelli che vengono chiamati “fossili viventi” sono così abbondanti da rischiare di divenire banali. Ma comunque il qualificativo di “sconosciuto” sembra ugualmente inappropriato.

    E’ per questo che alcuni pensano che si dovrebbe parlare di animali “non descritti” dalla scienza secondo le regole prescritte. In realtà ciò sarebbe ancora più inesatto, poiché è proprio uno dei compiti eventuali della criptozoologia quello di descrivere scientificamente gli animali ancora sconosciuti.

    Molti, sia tra gli stessi zoologi che tra i profani, credono sia proibito dall’ Establishment zoologico dare un nome scientifico ad un animale fintanto che non se ne possiede almeno un esemplare, o quanto meno dei frammenti anatomici significativi, come è nel caso della paleontologia. Ma in realtà è inesatto.

    Se è vero che il Codice internazionale di nomenclatura zoologica auspica l’ esistenza di un esemplare che possa servire come tipo, cioè come concreto modello di paragone, questo non è tuttavia che un augurio, non un obbligo.

    Che la criptozoologia tenda alla ricerca sistematica degli animali ancora sconosciuti rimane perfettamente legittimo e rigoroso, come andremo a spiegare attraverso qualche esempio.

    Tutti gli animali visibili a occhio nudo sono praticamente conosciuti dagli uomini che vivono nella stessa regione, ma ciò non significa affatto che siano conosciuti dalla Scienza.

    Ora, per definizione è proprio questa conoscenza particolare, privilegio di una élite e di cui l’ Occidente si è per tanto tempo arrogato il monopolio, che è messa in questione. Può darsi che un animale ignoto, segnalato in modo persistente in una certa regione, sia perfettamente conosciuto dalla Scienza in qualche altra località. Così ad esempio una “tigre marsupiale” simile quindi al Talacino di Tasmania, è stato osservato durante vari secoli da diversi testimoni sul continente australiano.

    Uno di questi animali tigrati è stato recentemente fotografato a più riprese nel sud-ovest dell’ Australia occidentale, fatto questo che ha fatto crollare le ultime reticenze di certi zoologi. Si sapeva da tempo che il Tilacino infestava una volta le foreste australiane, grazie a dei ritrovamenti paleontologici, ma lo si credeva scomparso di lì da almeno 4000 anni. Se dovesse esser confermato che l’ attuale forma australiana appartiene alla stessa specie di quella della vicina Tasmania ( Thylacinus cynocefalus ), che d’ altra parte molti ritengono ugualmente estinta, è chiaro che dovrà essere classificata in una razza geografica particolare, e quindi in una sotto-specie distinta.

    Si tratta dunque di una forma ancora sconosciuta, e la cui scoperta costituisce una brillante vittoria della criptozoologia. Anche se venissero ritrovati ai nostri giorni dei mammuth viventi nella taiga ( foresta ) siberiana, sarebbe necessario farne una sotto-specie originale, differente tanto da quella degli individui ritrovati ben conservati, in carne e ossa nella torba gelata della tundra ( prateria ) artica ( Mammuthus primigenius beresovkius ) che da quella di cui è stato esumato uno scheletro quasi intero in Ucraina. Ancora una volta si tratterebbe di una forma ancora sconosciuta.

    Quanto ai tipi ben più antichi di cui si spera di ritrovare dei rappresentanti attuali, che abbiano quindi continuato ad evolversi da ere geologiche lontane – che si tratti di dinosauri, di rettili volanti, di cetacei arcaici o di australopitechi – sarebbero a più forte ragione rappresentanti di specie o di generi distinti da quelli conosciuti allo stato fossile. Non dimentichiamo che il Celacanto pescato vivo nel 1938, tra l’ incredulità generale dei paleontologi, è stato classificato in un genere nuovo, Latimeria, nettamente separato da quello del suo fratello Undina, che si era estinto nel Cretaceo 65 milioni di anni fa.

    E il piccolo mollusco monoplacoforo, il cui gruppo era considerato come scomparso da 350 0 400 milioni di anni, e che è stato scoperto vivente in ottima salute nelle profondità del marine nel 1957, è stato chiamato Neopilina per ben distinguerlo dal genere fossile Pilina. Gli esempi di questo tipo sono innumerevoli.

    Va da sé che la criptozoologia non può interessarsi di tutte le forme animali ancora sconosciute. Come diavolo si potrebbe seguire la pista di un animale di cui non si sa assolutamente niente, di un animale insomma di cui non è mai stata ritrovata la minima orma?

    Perché si possa tentare di ritrovare un animale bisogna necessariamente che abbia lasciato delle tracce, anche solo nella memoria di testimoni o nelle tradizioni di un popolo. Può essere descritto come un rappresentante della fauna locale dagli indigeni, o esser stato segnalato a più riprese da viaggiatori stranieri. O magari, ancora, può essere stato rappresentato su delle opere d’ arte più o meno antiche.

    Questa necessità assoluta per un animale sconosciuto di essere preceduto da una reputazione per suscitare l’ interesse del criptozoologo, ha fatto dire a qualcuno che la criptozoologia si occupa solamente di esseri di grossa taglia, che sono più facilmente percepibili. Niente di più falso.

    Alcuni animali sconosciuti si caratterizzano al contrario per la loro taglia relativamente esigua. Non parlo solo di specie come l’ Ippopotamo nano e lo Scimpanzè pigmeo, già scoperti, o di specie come l’ Elefante nano o il Gorilla pigmeo, tuttora controversi, o come il Rinoceronte nano o lo Yeti pigmeo, ancora sconosciuti, poiché sono comunque tutti animali di una taglia assai considerevole.

    Ma un pipistrello non più grande di un calabrone, come il Craseonycteris Thonglongyai, scoperto solo nel 1974 in Thailandia, poteva esser ritenuto prima come inverosimile e favoloso. Gli animaletti più minuscoli possono farsi notare per delle caratteristiche così insolite, così curiose, che ben presto attorno a loro vengono tessute delle leggende. Pensate, tra gli animali dei nostri cataloghi zoologici, agli aspetti grotteschi, quasi magici di molti insetti, dalla Mantide religiosa alla Sfinge-testa-di-morto. Pensate alle Meduse, alle stelle marine, ai polpi, ai granchi, agli scorpioni ed alle scolopendre che sembrano sfuggiti da un inferno di Hieronymus Bosch. L’ immaginazione più fertile di romanzieri e cineasti di fantascienza non ha mai superato in orrore quelli che essi ispirano. Se non li conoscessimo, non ci sono dubbi che le voci più fantastiche circolerebbero su di loro.

    Perché l’ attenzione del criptozoologo sia attirata su una forma animale ancora non catalogata, non basta tuttavia che sia stata descritta da un viaggiatore, magari millantatore e avido di pubblicità, o da un indigeno terrorizzato o incline a non scatenare gli amanti del meraviglioso.

    Secondo i criteri scientifici tradizionali, il criptozoologo si lascerà sedurre solo da una verità statistica, e cioè, se occorre, dalla molteplicità di descrizioni concordanti. Ed anche ciò non è sufficiente.
    Per essere convincente bisogna che l’ identikit dell’ animale in questione sia coerente, cioè che possieda una certa verità implicita, e che in più sia in accorso con le conoscenze scientifiche più avanzate del nostro tempo.

    Così chiunque descriva un centauro o un uomo volante munito di ali sul dorso non potrà mai essere preso sul serio. Creature di questo tipo possederebbero infatti sei estremità, mentre noi sappiamo che i vertebrati terrestri non possono averne più di quattro.

    Al contrario, se l’ animale dipinto da un “primitivo”, che ignora tutto della paleontologia, corrisponde nelle sue grandi linee a un fossile, e se inoltre questo fossile è vissuto a suo tempo nella regione in questione, questo aggiunge un peso molto considerevole alla sua credibilità. Lo stesso dicasi se un animale sconosciuto è descritto in maniera simile, ma indipendentemente, ai quattro angoli del mondo in un quadro ecologico ben definito.
    Sono quelle che si chiamano prove circostanziali.

    Ciò detto, il criptozoologo deve tuttavia serbare lo spirito molto aperto. Poiché è già accaduto in passato che si sia scoperto un animale altamente improbabile o addirittura impossibile.

    Quando il Tapiro a dorso bianco fu segnalato nel 1805 in India, gli zoologi occidentali non vollero crederci, perché i tapiri erano ritenuti sino ad allora come degli ungulati specificatamente sud-americani. La conclusione fu che doveva trattarsi in realtà di una specie di rinoceronte bianco.

    Una diffidenza ancora più grande si era sollevata poco prima, quando era giunta alla Società Zoologica di Londra la pelle di un mammifero australiano – una specie di lontra – che non solo aveva le zampe palmate dell’ anatra, ma anche il becco. Tutti avevano pensato a un’ abile falsificazione, simile a quelle sirene mummificate che gli Orientali fabbricavano unendo il tronco e la testa di una scimmia, la zampe di un uccello da preda e la coda di un pesce.

    Bisognò però arrendersi all’ evidenza quando uno studio approfondito non riuscì a svelare alcuna traccia di trucco. Il “mostro” in questione era l’ animale conosciuto oggi con il nome di ornitorinco …. L’ incredulità affiorò, sullo stesso soggetto, e giunse al massimo, quando dall’ Australia giunsero delle voci le quali questo mammifero deponeva le uova! Era troppo! Eppure, ancora una volta burloni e increduli di tutti i generi finirono per doversi inchinare ai fatti : i piccoli ornitorinchi che la madre allattava, uscivano, senza possibilità di smentita, dalle uova ….

    La controversia che aveva lacerato il Laudernau zoologico non era durata meno di 67 anni.
    Da allora si sa che un animale “impossibile” può anche esistere.

    Il più grande scetticismo si impone sempre nel campo della scienza, ma il vero scetticismo è quello che vi porta a dubitare anche dei vostri dubbi. E’ anche capitato, più di una volta che si sia posseduto un esemplare di un animale sconosciuto senza tuttavia vincere l’ incredulità di certi spiriti conservatori.

    Per loro si tratta di una variazione individuale, di un esemplare teratologico o di una mistificazione. Altri animali sconosciuti non sono stati accertati per lungo tempo in maniera unanime perché i soli indizi materiali che si possiedono sono solo tracce di passi o altre impronte, dei semplici tegumenti, per esempio delle scaglie o delle piume o dei peli, la constatazione di saccheggi stereotipati o ancora delle fotografie, un film o delle registrazioni sonore. E’ necessario sottolineare che questi veti sono fondati su un arbitrio?

    Se bisognasse, pesando bene le cose, dare della criptozoologia una definizione ad un tempo completa e coincisa, come quella che si richiede di trovare in un dizionario, io proporrei la seguente : “Criptozoologia : n. f. ( greco Kriptòs, nascosto, zòa, animali, e logos, discorso ). Scienza degli animali nascosti, cioè sconosciuti, la cui esistenza è fondata solo su prove testimoniali e circostanziali, o su prove materiali giudicate insufficienti da alcuni”. Né più né meno.

    La Metamorfosi degli animali sconosciuti in bestie favolose
    (di Bernard Heuvelmans)

    Si racconta che, stanco di veder comparire ogni giorno nel suo menù carne di manzo, costolette di agnello o prosciutto, Luigi XVI implorasse un giorno il cielo con queste parole : "Oh Dio, donatemi un animale nuovo!".

    Forse è solo una leggenda, ma sicuramente per secoli è stata questa la preghiera più sentita di ogni zoologo desideroso di veder associare il suo nome alla scoperta di un animale ancora sconosciuto e diventare quindi immortale tutt' a un tratto.

    Quando si evoca la scoperta di animali "nuovi" o "sconosciuti" è, beninteso, solo un modo di dire. Bisognerebbe dire piuttosto "nuovi per il mondo occidentale" o "sconosciuti dai nostri scienziati". I soli animali veramente "nuovi" sarebbero i rappresentanti di specie apparse nei nostri giorni sotto l' effetto dell' evoluzione incessante degli esseri viventi. (Si parla spesso di animali "preistorici", ma in verità ci troveremmo molto a disagio nel citare una sola specie tra i vertebrati almeno che non sia preistorica, che insomma non sia nata prima dell' inizio della storia).

    Pochi animali sono veramente sconosciuti all' Uomo : in generale, in ogni contrada del mondo, gli indigeni conoscono tutta la fauna che divide con loro l' ambiente. E nel cuore di ciascuna cultura, i sapienti e gli eruditi hanno sempre steso l' inventario più completo possibile degli animali della regione più estesa possibile.

    Il "Tapiro della gualdrappa" indiano, descritto soltanto nel 1816 dagli zoologi occidentali sotto il nome scientifico di Tapirus indicus, figurava già duemila anni prima nelle enciclopedie cinesi con il nome di Mé; e il Panda gigante, scoperto nel 1869 nel Sseu-Tch'ouan dal padre Armand David, sembra essere stato già menzionato nel 621 in un manoscritto dell' epoca T'ang sotto il nome di Bei-shung (orso bianco).

    Il Gorilla, di cui il mondo atlantico non ha voluto ammettere l' esistenza che nel 1847, aveva già da lungo tempo un nome in tutti gli idiomi dell' Africa centrale ed occidentale ed era anche stato descritto con cura agli inizi del XVII secolo dall' avventuriero inglese Andrew Battel. Quando nel 1850 Brian H. Hodgson portò indietro dalla regione dell' Himalayana delle pelli e dei crani di una specie di montone grande come un bue, che denominò Budorcas Taxicolor, non fece altro che far conoscere in Occidente l' animale che i Mishmi dell' Assam chiamavano Takin.

    Fu nel 1878 che l' impero britannico apprese l' esistenza in Kenia di una stupefacente gazzella con il collo di giraffa che in seguito ricevette il nome di Litocranius walleri, ma sul posto l' avevano sempre chiamata Gerenak, e, nell' antichità, era non solo stata raffigurata su grossolani graffiti rupestri della riva orientale del Nilo che datano da tre a quattromila anni, ma anche su dei bassorilievi realistici risalenti al regno di Ramsete II (XIII secolo a.C.).

    Nel 1900 si Harry H. Johnston, governatore dell' Uganda, rivelava al mondo stupefatto la sopravvivenza, nelle foreste dell' Ituri, di un antenato della giraffa risalente al Miocene (da 15 a 35 milioni di anni fa), ma l' animale era ben noto, sotto il nome di Okapi, ai pigmei Wa-mbuti, che non disdegnavano talvolta di mangiarne la carne. I

    l Pavone del Congo, scoperto tra lo stupore generale degli ornitologi nel 1936, tra le collezioni del Museo del Congo Belga, a Tervuran, era una preda di caccia tradizionale che i Bakumu chiamavano Itundu, e i Wa-Bali, Ngowé. Anche il più celebre dei fossili viventi del nostro tempo, il Celecanto, descritto nel 1939 dal Professor J.L.B. Smith, non era una novità per i pescatori delle Comore, che talvolta lo pigliavano nelle loro reti, e lo denominavano un tempo M'tsamboidoi, prima di chiamarlo più comunemente Kombessa : essi si servivano persino delle squame spinose di questo pesce "a zampe", risalente a più di 300 milioni di anni, per grattare la camera d' aria bucata dei pneumatici delle loro biciclette prima di incollarvi una toppa di caucciù.

    Bisogna dire che gli animali terrestri, ben più facili da osservare, e di cui si continuano a scoprire delle specie nuove qua e là attraverso il mondo, sono sempre noti alle popolazioni che vivono in prossimità.

    Il gran pecari fossile Catogonus, ritrovato ben vivo in Paraguay nel 1975, era stato debitamente battezzato con il nome di Tagua dagli indiani del Gran Chaco che lo cacciavano per la sua carne. Quando io stesso nel 1969 ho provato la sopravvivenza nella nostra epoca di popolazioni residue di Neanderthaliani, basandomi sullo studio minuzioso di un esemplare congelato recentemente ucciso in Vietnam, il nome scientifico di Homo Neanderthaliensis Pongoides che ho dato a questi paleoantropi estremamente specializzati, non è stata in realtà che una ulteriore denominazione aggiunta a tante altre.

    La mia scoperta era in effetti il risultato di una inchiesta sistematica che aveva consentito di stabilire che simili uomini selvaggi e pelosi erano noti da un capo all' altro dell' Asia - dal Caucaso allo stretto di Bering e alla penisola Malacca - e denominati dappertutto con un nome specifico dalle popolazioni locali.

    Le sole regioni del mondo in cui possono vivere degli esseri totalmente sconosciuti, sono di fatto quelle non abitate dall' uomo perché inabitabili o impossibili quasi da attraversare, o addirittura da penetrare, insomma delle aride immensità aride di ghiaccio, di rocce o di sabbia, alcune cime inviolate di montagne, e, beninteso, le profondità degli oceani.

    Detto ciò, in antitesi, bisogna confessare che nessun animale ci è perfettamente noto.

    Sull' esistenza segreta di quelli che sono notturni o scavatori, desertici o acquatici, o anche abitanti delle vasta foresta equatoriale in parte inondata, noi non possiamo sapere gran cosa.
    A dire il vero esistono ancora delle zone d' ombra o delle serie lacune nella nostra conoscenza degli animali più facili da osservare. Anche i nostri animali domestici conservano qualcosa del loro mistero : noi non sappiamo ancora, al di fuori di ogni dubbio, come il gatto faccia le fusa!

    Il filosofo francese della scienza Léon Brunschvieg diceva un tempo : "I primitivi vogliono spiegare tutto, mentre gli evoluti ammettono le loro lacune". Questa distinzione tra il pensiero del "selvaggio" e quello del "civilizzato" appare artificiale. Che lo si voglia o no, l' Ignoto incute terrore all' uno e all' altro.

    Se, per vincerli, il primitivo ricorre a dei miti esplicativi, lo scienziato occidentale riempie le lacune del suo sapere costruendo delle ipotesi. E non c'è molta differenza.
    Il pensiero mitico mi sembra sempre più un adattamento evolutivo destinato a premunire i rappresentante della nostra specie contro i traumi legati a delle esperienze nuove, tanto più angoscianti, quindi, perché mai affrontate prima. Sembra che quando le informazioni ricevute dal mondo esterno attraversano quella parte del sistema nervoso centrale che talvolta viene denominato "cervello emozionale", esse vanno ad immagazzinarsi nelle stesse categorie, ad allinearsi sugli stessi processi mentali stereotipati e a deformarsi negli stessi stampi dello spirito in cui si sviluppano personaggi e intrecci delle nostre mitologie, delle nostre epopee o dei nostri racconti di comari.

    Si fa, in genere, una distinzione più o meno netta tra i Miti, ritenuti essenzialmente religiosi, le Leggende o saghe eroiche, e il Folklore, e cioè l' insieme delle credenze, dei detti e dei riti popolari.
    Queste diverse facce di un trittico in cui si riflettono di fatto le concezioni del mondo del mistico, del poeta e dell' uomo del popolo, sono strutturate conformemente a delle leggi identiche, di sorta che i maestosi cicli delle forze divinizzanti della natura, le peripezie fantastiche della vita degli eroi ed i semplici racconti di fate o addirittura le volgari storielle umoristiche, si rivelano costruite su un solo medesimo modello.

    A causa della somiglianza del loro processo di mitizzazione, le multiple vicissitudini della nostra insignificante esistenza individuale - l' esperienza dolorosa della nascita, l' espulsione dal seno materno, l' ostilità glaciale del mondo esterno, la privazione momentanea delle primordiali voluttà alimentari, la passione divorante, ma ostacolata, per la madre, la rivalità con il padre, questo guastafeste della poppata, e poi, ben presto, la rivalità con i fratelli e le sorelle, i sentimenti di abbandono, le prime solitudini e, più tardi, i desideri sessuali inappagati, i combattimenti e le sconfitte, gli scacchi e le umiliazioni, gli abbandoni e i tradimenti, i divorzi e i lutti e la morte stessa - tutte queste disavventure quotidiane sembrano susseguirsi secondo una sceneggiatura eterna, quella delle tradizioni cosmiche, storiche o poetiche.

    Così ci sembrano, di primo acchitto, le cose più naturali del mondo : non sono più dei drammi imprevedibili e terrificanti che sorgono senza preavviso dalle tenebre per prenderci alla gola e succhiarci il sangue, quasi come sotto l' effetto di una cospirazione di forze diaboliche che si accaniscono per distruggerci.

    Se l' immaginazione merita il nomignolo di "matto della casa", che dobbiamo a Malebranche, la sua follia è tuttavia del tipo paranoico, perché è un delirio rigorosamente sistematizzato.
    Le leggi rigide e coartanti dell' immaginario sono manifestamente legate all' architettura del nostro cervello. Sono loro che hanno condizionato tra l' altro la nascita del linguaggio, cioè l' associazione per nulla gratuita - ma fondata su delle somiglianze, delle corrispondenze o dei parallelismi - dei fonemi scelti e dei vari oggetti, sensazioni, sentimenti ed azioni che costituiscono il nostro Universo.

    Sono ancora loro che contribuiscono a completare la nostra conoscenza e la nostra comprensione dei fenomeni naturali, ed in particolare quella degli animali di ogni tipo.
    Meno sappiamo di essi, più la descrizione della loro anatomia, della loro vita e dei loro costumi va ad ispirarsi ai processi di questo pensiero, più associativo che realmente creativo - ed in ogni caso prelogico ed irrazionale - e più dunque essa apparirà farcita di aspetti fantastici al momento in cui la nostra scienza inizierà ad interessarsi ad essi.

    Quando le circostanze ci conducono in presenza di un essere del tutto sconosciuto o raro, almeno ai nostri occhi - sia che abbia lasciato dolente o nolente il suo habitat naturale, sia per qualche ragione noi vi siamo penetrati - questo incontro ci sembrerà così meraviglioso, perché inconsueto, che avremo la tendenza a vedervi un segno o forse un presagio.
    E' per questo che abbiamo l' abitudine a chiamare questo tipo di animali "mostri" perché, come diceva Cicerone, "mostrano l' avvenire o quello che è nascosto" (Monstra appellantur quia monstrant).

    E non ci accontentiamo di dar loro questo nome ambiguo : noi plasmiamo, deformiamo e adulteriamo quello che siamo riusciti a vedere di loro ed estrapoliamo, con un incosciente partito preso, quello che non abbiamo potuto vedere, in modo tale da farli entrare il più facilmente possibile in una struttura familiare al nostro pensiero mitico, in quello che C.G. Jung ha chiamato un "archetipo".

    Se l' animale insolito, contemplato a piacimento dopo essersi arenato su di una spiaggia, o appena intravisto nel fitto di un bosco, ci sembra enorme, in grado di inghiottirci, e quindi terrificante, noi lo descriveremo necessariamente come una specie di drago.

    Se per caso non ha che un corno sulla fronte o sul naso o magari un semplice ammasso do peli, di piume o di scaglie piazzato lì, noi, beninteso, lo trasformeremo in un unicorno.

    Se ha un aspetto umanoide senza essere un uomo e se abita nei campi o nei boschi senza l' ausilio della più semplice tecnologia e soprattutto se è molto più peloso del normale, lo prenderemo per un uomo selvaggio.

    Se apparirà in piena notte, smorto, sepolcrale, quasi fantomatico, senza dubbio ci sembrerà un vampiro alla ricerca di una preda da sgozzare per poi pascersi del suo sangue fresco, caldo e rigeneratore.

    Se l' animale, umanoide, si presenta gigantesco, affamato e minaccioso, lo chiameremo orco.
    Se al contrario apparirà minuscolo e pauroso vedremo in lui un rappresentante del popolo dei folletti, paria in miniatura fatti a nostra immagine e somiglianza, pronti ad aiutarci in cambio di piccoli regali, ma certamente condannati, dato che li si vede così di rado, a nascondersi nelle viscere della terra.

    Se l' animale straordinario ci si è mostrato fugacemente sulla nera superficie delle acque di un lago è perché, penseremo, deve essere il guardiano di qualche tesoro inghiottito, un tipo particolare di drago : il mostro lacustre.

    Se è un uccello molto grande la cui silhouette si staglia su un cielo crepuscolare, dandoci un brivido alla schiena, gli attribuiremo intenzioni aggressive e rapaci, assimilandolo, anche controvoglia al Grifone dell' antichità classica o all' Uccello-Roc dei racconti arabi.

    Se ha un piumaggio multicolore, iridescente e fastoso, penseremo sicuramente alla Fenice, il più bello degli abitatori di questo mondo. Me è certamente soprattutto in mare o sulle rive che i "mostri", abbondano, perché degli animali marini non si arriva a percepire che quel po’ che si intravede nel tempo di un lampo, quando il sipario delle onde si chiude fuggevolmente : ecco che l' immaginazione ha modo di fare la parte del leone!

    Se la bestia è lunga e sottile - che è poi la forma che le più grandi creature acquatiche finiscono per assumere per delle ragioni esclusivamente meccaniche - ci si affannerà a proclamare di aver visto il Gran serpente marino, il Leviathan della Bibbia.

    Se avrà lasciato fuoriuscire dall' onda degli enormi tentacoli, si impallidirà pensando al Kraken, l'animale-isola tentacolare delle leggende nordiche o al Polpo gigantesco, capace di afferrare interi navigli colandoli a picco, terrore dei marinai desiderosi, in altri tempi, di andare alla conquista del mondo.

    E se la creatura acquatica ha una forma, anche se grossolanamente umana, ne faremo immancabilmente un uomo marino o preferibilmente una donna marina, una sirena. La nostra immaginazione abbellirà i suoi lineamenti fino ad attribuirle una irresistibile capacità di seduzione : ma cercheremo comunque di sfuggirle perché nello stesso tempo le avremo anche attribuito degli appetiti cannibali.

    Come avviene dunque che, dappertutto nel mondo, gli uomini, quale che sia la loro razza o la loro cultura, abbiano sempre inventato le stesse creature favolose, agghindate con gli stessi attributi ed aureolate della medesima reputazione?

    Si è ritenuto per molto tempo che queste leggende si siano potute trasmettere tramite scambi culturali.
    Ma a forza di dover spingere indietro nel tempo l' epoca della loro presunta disseminazione, fino ad arrivare agli albori stessi dell' umanità, è stato necessario arrendersi all' evidenza : esse affondano in realtà le loro radici nelle nostre stesse profondità, in quello che Jung ha chiamato "l' inconscio collettivo".

    E quest' ultimo senza dubbio non è, come abbiamo suggerito poco sopra, che un adattamento specifico, geneticamente programmato, destinato a proteggerci contro i traumi psichici che potrebbero nascere da esperienze inusuali e scioccanti, esattamente come le difese naturali dell' organismo contro ogni tipo di aggressioni alle quali è soggetto. In quelli che chiamiamo "mostri" si riflettono infatti tutti i nostri problemi psichici fondamentali.

    Il Drago occidentale è la personificazione del Male, di tutto ciò che dobbiamo combattere per vivere con dignità. L' Unicorno, simbolo fallico, è l' immagine della virilità aggressiva della potenza maschile che può essere vinta, però, da ciò che la debole donna ha di più puro, di più ingenuo, di più subdolo anche, e in definitiva di più efficace.

    La Sirena è invece piuttosto l' immagine della madre avvolgente ma divoratrice, della Femme Fatale, della Vamp, di cui l' uomo è l' eterna vittima. L' Amazzone rientra un po’ nello stesso schema, ma su di un piano sociale : non si accontenta di sedurre l' uomo per poi divorarlo; essa lo violenta, poi lo castra e lo fa suo schiavo, non appena ha espletato il suo ruolo di stallone.

    L' Uomo selvaggio, il Satiro, ha un ruolo duplice : serve da una parte da pattumiera, da contraltare per l' uomo civile, per tutto quello che gli resta di bestiale, di incivile, di ripugnate; dall' altro lato è invece l' immagine idilliaca e nostalgica del Paradiso perduto dell' animalità naturale non costretta al lavoro e non colpevolizzata dallo schiacciante senso del peccato. L' Orco, maschio e femmina, e i giganti antropofagi sono una visione terrificante del mondo dei genitori, degli adulti, percepito attraverso l' occhio del bambino.

    Quanto al Piccolo popolo, quello degli gnomi e dei folletti, non è che il contrario del medesimo mito, una trasposizione dell' universo dei bambini isolati dalla loro dimensione, incompresi, respinti in una sfera inferiore ed obbligati a fare dei piaceri agli adulti per assicurarsi la loro protezione ed i loro favori. Il Babau vorace, la bestia che divora il mondo ha, come molti altri mostri, una funzione ambivalente : rappresenta da una parte la paura di essere ingoiato, ucciso, annientato; dall' altra il desiderio nostalgico per eccellenza di ritornare nella calda sicurezza del ventre materno.

    Il Mostro lacustre, nascosto sotto acque impenetrabili allo sguardo, è l' immagine di ciò che c'è di perverso, d' inconfessabile, d' indicibile al fondo della nostra coscienza, di tutto quello che è più profondamente tenuto segreto nel nostro cuore. Il Serpente di mare è il simbolo, e quanto trasparente!, del Diavolo, del Principe delle tenebre, magari di quello che un tempo si chiamava "la paura dell' ignoto", e cioè l' immensità dell' oceano situato al di là dell' orizzonte, che si riteneva che fosse per eccellenza la sede delle potenze del Male.

    Come il Mostro tentacolare, che sale dagli abissi, rappresenta i pericoli che ci minacciano dal disotto (dall' interno! I nostri conflitti interiori insomma); così l' Uccello rapitore è l' immagine di coloro che ci controllano dall' alto (il Demiurgo, l' autorità morale che ci giudica ed in caso di errore ci punisce). La Fenice, ambasciatrice di universo meraviglioso o lontano, che rinasce perpetuamente dalle sue ceneri, ricorda l' Eden perduto, il paese in cui la morte non esisteva, ed il suo esempio ci fa intravedere la possibilità in un ritorno a quella Età dell' Oro.

    Quanto poi al Vampiro, se evoca ugualmente desideri di immortalità, serve a ricordarci la maledizione che la accompagna come un' ombra. Insomma ci sono dei miti per tutte le età, di tutti i sessi e gusti particolari. Ecco perché ci attirano, ci seducono, ci turbano, ci accattivano, ci illuminano, seppure di una luce scura, e in definitiva ci rassicurano o ci consolano.

    Non c'è da meravigliarsi che noi siamo così avidi di mostri e creature fantastiche, al cinema come in letteratura. Per paradossale che sembri, i mostri favolosi sono senza dubbio, tra tutti gli animali, quelli a noi più vicini, i più strettamente legati alla nostra vita intima. Il cane, il gatto, il cavallo e qualche altro animale vivono al nostro fianco; le bestie leggendarie vivono in noi.

    E' alla superficie delle onde del nostro inconscio che folleggiano sirene, kraken e serpenti di mare; è nelle foreste che ombreggiano le sue rive che si nascondono unicorni e draghi, satiri ed amazzoni, orchi e folletti, lupi mannari e vampiri. Ed è il cielo dei nostri sogni che attraversano a volo spiegato il formidabile uccello Roc, rapitore di elefanti, e la Fenice che eternamente torna al suo paradiso natale.

    E' un fatto che ci riguarda tutti.

    Ecco la ragione profonda per la quale siamo così portati, e con che impazienza! A far indossare la divisa di bestie favolose ad animali di carne e sangue, talvolta dei più prosaici : d' altronde l' operazione è tanto più facile in quanto si tratta di animali mal conosciuti, poco conosciuti o solo alla vigilia di esserlo ….

    E' perché il Lamantino possiede della mammelle pettorali come il suo cugino Elefante marino, ma anche come la Donna, e perché la sua corpo termina a coda di pesce, che lo si è sempre confuso, da una parte e l' altra dell' Atlantico, con la conturbante Sirena - anche a dispetto del suo aspetto estremamente sgraziato ai nostri occhi - e lo si è sospettato nello stesso tempo di istinti sanguinari.

    Ma in realtà è possibile pensare ad un animale più inoffensivo, più disarmato di questa specie di vacca marina che passa la maggior parte del suo tempo a brucare dei giacinti d' acqua ed altre piante succulente?

    Nel secolo scorso circolavano in tutta l' Africa tropicale voci relative a un gigante peloso, sanguinario e lubrico che stordiva gli elefanti a colpi di bastone e rapiva le donne nella foresta per violentarle. Questo essere mezzo satiro e mezzo orco si è rivelato alla fine nient' altro che il Gorilla, una grande scimmia antropoide, che oggi sappiamo essere particolarmente mite e pacifica, quasi totalmente vegetariana e molto meno ossessionata dal sesso che l' uomo.

    Da quando abbiamo incominciato a conoscerla meglio è stato necessario trasferire la sua cattiva reputazione ad un altro antropoide, questo ancora sconosciuto dell' Himalaya. E' questo che oggi è accusato di mettere gli yak K.o. a pugni nudi, prima di sventrarli con i suoi artigli, e di rapire per diletto le giovinette : l' abominevole Uomo delle nevi, per chiamarlo col suo nome, d' altra parte totalmente immeritato.

    Quando alla vigilia della prima Guerra Mondiale fu scoperta su un' isola dell' Indonesia la più grande lucertola attualmente conosciuta, un varano che superava i tre metri di lunghezza, gli fu dato naturalmente il nome di Drago di Komodo. Eppure la sua taglia era insignificante rispetto a quelle dei più grandi coccodrilli, almeno due volte più lunghi, e pesanti almeno sei volte di più, fin anche a superare la tonnellata.

    A questi veri mostri non si concede il nome prestigioso di "draghi", perché sono troppo ben conosciuti, e da troppo tempo, per essere ancora assimilati ad un qualche animale mitico. Ai nostri giorni si continua imperturbabilmente a trattare da "serpente di mare" qualsiasi animale slanciato apparentemente sconosciuto, che si intravede qua e là sulla superficie delle onde.

    Eppure la maggior parte di esse si muove solo come dei mammiferi sono in grado di fare, con le ondulazioni verticali del corpo, di cui i rettili in generale, ed i serpenti in particolare, sono incapaci di fare.

    Soprattutto dal 1933, animali insoliti ed abbastanza grandi sono segnalati molto frequentemente nel più grande lago delle isole britanniche. Per essersi perpetuati da secoli e secoli, è ovvio che essi devono costruire tutta una popolazione : d' altronde più esemplari sono stati osservati contemporaneamente.

    Questo non impedisce che si continui a parlare del "mostro di Loch Ness" e che lo si sia accusato, ben ingiustamente, di divorare dei montoni.

    Tutto ciò per renderlo conforme al mito del Drago lacustre, guardiano dei tesori, al quale la buona creanza vorrebbe si sacrificasse di tanto in tanto una vergine, un tipo di cibo divenuto raro.

    Per non lasciare più al caso la scoperta di animali ancora ignorati e per accelerarla in qualche misura con delle ricerche orientate in modo preciso, mi sforzo da alcuni decenni, di edificare una disciplina nuova della Scienza, cui ho dato il nome di Criptozoologia (o scienza degli animali nascosti).

    Oltre alla raccolta, la collocazione e la critica delle testimonianze degli osservatori, lo smascheramento dei falsi, l' analisi delle conoscenze degli indigeni e lo studio delle eventuali rappresentazioni - archeologiche o recenti - la cui sintesi deve sboccare sulla sistematizzazione di un ritratto-prototipo dell' aspetto dell' animale e di una descrizione il più possibile accurata dei suoi costumi, questa disciplina ha anche come scopo la demitizzazione delle voci, che corrono in varie parti del mondo, su diversi "mostri", al fine di scoprire gli animali reali che si nascondono sotto la loro maschera stereotipata.

    A causa della quantità di aspetti fantastici di cui tali animali sono agghindati e dei comportamenti stravaganti che loro si attribuiscono, la loro realtà è sovente messa in dubbio o negata con forte sarcasmo da zoologi di spirito conservatore o da folkloristi che imputano tutto il meraviglioso a immaginazione.

    Di fatto danno prova di fraintendere la nozione di "mito" e di una totale incomprensione del processo di mitizzazione. E' proprio perché delle specie animali non sono state ancora identificate e debitamente classificate, che esse si prestano per eccellenza a questa operazione di distorsione e di adulterazione.

    Meno sono conosciute, più è facile farle entrare di forza nello stampo, talvolta stretto, di un archetipo favoloso, proprio come Procuste col suo letto poco confortevole. E questa operazione da quel momento fa loro restar incollato al corpo, quasi come una decalcomania, l' aspetto caratteristico e le abitudini talvolta assurde del prototipo leggendario.

    E, a questo punto, scrollarglieli di dosso diviene abbastanza delicato. Rassicuriamoci, comunque : questa operazione sistematica di demitizzazione dei mostri non finirà mai con l' annientamento di questi. Una volta entrati nell' ovile della Scienza, e debitamente da lei battezzati, gli animali che in essi si incarnano, se ne troveranno sempre altri per prendere la staffetta e svolgere il loro ruolo.

    E se per caso l' inventario del mondo animale arrivasse davvero ad esaurirsi - cosa che l' attualità zoologica non cessa di smentire - troveremmo altrove di che nutrire i nostri miti. Già la Vamp artificiale, come quella del film Metropolis di Fritz Lang, è pronta ad occupare il posto dell' irresistibile Sirena; il Robot rapitore di giovani ninfette si sostituisce poco a poco nei film di fantascienza all' antico Satiro molestatore di ninfe e al suo successore, il Gorilla violentatore di indigene; i dischi volanti sostituiscono l' Uccello Roc per rapire i terrestri; i piccoli marziani verdi prendono il posto dei folletti, degli gnomi e degli altri rappresentanti del Piccolo Popolo; ed il Triangolo delle Bermude fa più vittime lui solo che il gran Trio oceanico : il Serpente di mare, la Sirena e il Polpo gigantesco.

    I mostri non sono prossimi alla morte.
    Non che siano eterni; senza dubbio sono nati con il nostro pensiero e finiranno con lui. Spero tuttavia che a loro sopravvivano tutti gli animali in carne e ossa che si sono incarnati successivamente in ciascuno di essi, e che in qualche modo li hanno nutriti e mantenuti in vita per l' equilibrio della nostra anima. Noi gli dobbiamo certamente almeno questo.



    Edited by cassius1988 - 18/3/2005, 16:40
     
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    CITAZIONE (cassius1988 @ 18/3/2005, 16:38)
    I mostri non sono prossimi alla morte.
    Non che siano eterni; senza dubbio sono nati con il nostro pensiero e finiranno con lui. Spero tuttavia che a loro sopravvivano tutti gli animali in carne e ossa che si sono incarnati successivamente in ciascuno di essi, e che in qualche modo li hanno nutriti e mantenuti in vita per l' equilibrio della nostra anima. Noi gli dobbiamo certamente almeno questo.

    bella questa frase,molto interessante l'articolo cmq...
     
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  3. Lorenzo Rossi
     
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    Ricordo che l'articolo riportato ad inzio topic, oltre ad essere soggetto a Copyright, è stato scritto dallo zoologo Bernard Heuvelmans.
     
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