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  1. maia
     
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    perche' si dice avere la coda di paglia?

    significa avere un segreto,un difetto o un punto debole sul quale si teme che gli altri possano infierire.l'espressione deriva da una favola di Esopo che narra di una volpe cui la tagliola mozzo' la coda.gli amici animali le fabricarono un'elegante coda di paglia.un giorno la notizia arrivo' ai contadini,che accesero dei fuochi vicino ai pollai per costringere la volpe a stare lontana,nel timore che la coda prendesse fuoco,rivelando la sua menomazione
     
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  2. maia
     
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    prendere una papera

    da focus

    confondersi nel parlare,scambiare una parola con un'altra.il verbo impaperarsi si confronta con altri simili:ingarbugliarsi,impapocchiarsi,impappinasi ecci...di origine onomatopeica,che danno cioe' l'idea di un suono con fuso emesso dachi parla.la papera,in piu',pero',ha fama di goffagine e tontoneria:si veda l'epiteto appicicato a donne sciocche ,frivole e ciarliere.si ha percio' l'analogia tra il parlare confusamente e lo starnazzare dell'uccello.il concetto,che in origine riguardava anche lo scrivere,oggi si e' esteso dalle parole ai gesti,in particolare ai portieri del calcio.
     
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  3. maia
     
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    Menare il can per l'aia

    Menare il can per l'aia è un modo di dire colloquiale della lingua italiana. Chi mena il can per l'aia continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito.

    Forse l'immagine è metaforica dell'atto locutorio[senza fonte]: come il cane si aggira per l'aia senza mai trovare ciò che gli serve, così la lingua di chi parla si muove a vuoto senza mai arrivare al punto.

    Secondo un'altra interpretazione[senza fonte], chi mena il can per l'aia cerca di creare confusione (liberando, appunto, il cane nell'aia, in mezzo alle galline) per evitare di focalizzare l'attenzione su ciò che è sgradito.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Menare_il_can_per_l'aia
     
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  4. maia
     
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    In bocca al lupo r15e062co2lmpjf4cz

    In bocca al lupo è un augurio scherzoso di buona fortuna che si rivolge a chi sta per sottoporsi ad una prova difficile.

    L'espressione ha un valore scaramantico: per scongiurare l'eventualità di un avvenimento indesiderato lo si esprime qui sotto forma di augurio. Andare nella bocca del lupo è infatti una palese metafora per cacciarsi nei guai.

    Una consuetudine più recente del modo di dire in sé vuole che si risponda con «crepi il lupo» a chi formula l'augurio.

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    Anche se l'origine del modo di dire non è chiarissima, non è certo che esso sia nato nel mondo rurale, molto probabilmente dal linguaggio di pastori e allevatori, presso i quali il lupo era temuto come animale pericoloso per eccellenza, perché predatore di bestiame.

    Secondo un'altra interpretazione, il detto sarebbe nato dal linguaggio dei cacciatori: i lupi infatti, sebbene non commestibili, venivano spesso soppressi in passato sia per salvaguardare il bestiame, sia perché considerati, a torto, pericolosi per la popolazione umana. L'uccisione di un lupo era dunque considerato un gesto prestigioso, e il detto avrebbe avuto in origine il valore di un augurio di buona caccia. In realtà il lupo, a dispetto dell'iconografia popolare, è per natura schivo dell'uomo.

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    Per altri il detto deriverebbe dal greco per assonanza. In greco era l'augurio "prendi la retta via" e come risposta si diceva "la prenderò".

    Un'altra interpretazione, ancora, trova l'espressione come un augurio che si riferisce alla storia dell'origine di Roma. Romolo e Remo vennero salvati dalla lupa, che dopo averli trovati abbandonati in una cesta sul greto del Tevere, li allattò e li condusse al riparo in una grotta, portandoli in bocca. Così, se qualcuno rivolge questa espressione all'altro, si augura fortuna oppure salvezza. In questo caso, però, una risposta quale "crepi" o "crepi il lupo" non avrebbe senso, se non frutto dell'ignoranza sull'origine dell'augurio.

    Un'ulteriore interpretazione è che "la bocca di lupo" era la lavagna dove i capitani che arrivavano alla Giudecca registravano il loro arrivo e la quantità di uomini e merci portati a casa. Quindi dire "in bocca al lupo" significa fare buona navigazione ed augurare di tornare salvi in porto. Non si risponde "crepi" perché il lupo è una lavagna di scrittura, ma si risponde "che il Dio del mare Ti ascolti" oppure "ciao" (schiavo vostro), (schiavo → s/ciao → ciao in veneziano, il "vostro" è sottinteso); a Venezia nel lazzaretto in attesa della quarantena venivano fatte riquadri sui muri con frasi di augurio circondati da cornici dentellate a bocca di lupo, cornici che tuttora si usano in grafica con tale termine: rispondere "crepi" non ha etimologicamente nessun senso. Nell'isola del lazzareto nuovo si possono tuttora vedere antichi modelli.

    Un'altra possibile interpretazione sarebbe la seguente: si tratterebbe di un augurio rivolto a chi andava a cacciare il lupo, per poterlo cacciare bisognava potersi avvicinare, in definitiva mettersi nella bocca del lupo. Non possiamo dimenticare il fatto che nell'immaginario collettivo il lupo era un gran nemico, un nemico pericoloso (nelle fiabe popolari,il lupo era sempre il cattivo) e per mettersi alla caccia del temuto lupo, ci voleva una buona dose di coraggio, il coraggio di mettersi nella bocca del lupo. L'importante è che alla fine "crepi il lupo", cioè il successo della caccia. Il cacciatore riceve il premio del coraggio dimostrato.

    http://it.wikipedia.org/wiki/In_bocca_al_lupo






    Menare il can per l'aia f41l9iiz9hnyrav7irm4

    Menare il can per l'aia è un modo di dire colloquiale della lingua italiana. Chi mena il can per l'aia continua a parlare di un argomento senza mai arrivare al dunque, oppure cerca di cambiare discorso per evitare un argomento sgradito
    OrigineSi tratta di un'espressione di origine abbastanza antica, come dimostra l'uso di due termini ormai scomparsi nell'italiano contemporaneo: menare nel senso di condurre e l’aia, il cortile interno delle fattorie; tuttavia è adoperata ancor oggi con una certa frequenza.

    Essa compare già nel Dizionario della Crusca con la seguente definizione: "Mandare le cose in lungo per non venirne a conclusione. Lat. Tempus ducere"[1].

    La stessa Accademia della Crusca dà come fonte autorevole per l'inclusione della locuzione nel proprio Dizionario l’Ercolano di Benedetto Varchi (1565):

    « Di quelli che favellano, o piuttosto cicalano assai, si dice: egli hanno la lingua in balìa; la lingua non muore, o non si rappallozzola loro in bocca, o e' non ne saranno rimandati per mutoli: come di quelli che stanno musorni: egli hanno lasciato la lingua a casa, o al beccajo; e' guardano il morto; o egli hanno fatto come i colombi del Rimbussato, cioè perduto 'l volo. D'uno che favella, favella, e favellando, favellando con lunghi circuiti di parole aggira sé, e altrui, senza venire a capo di conclusione nessuna, si dice: e' mena 'l can per l'aja: e talvolta, e' dondola la mattea; e' non sa tutta la storia intera, perché non gli fu insegnato la fine; e a questi cotali si suol dire: egli è bene spedirla, finirla, liverarla, venirne a capo, toccare una parola della fine; e, volendo che si chetino, far punto, far pausa, soprassedere, indugiare, serbare il resto a un'altra volta, non dire ogni cosa a un tratto, serbare che dire. »
    (Benedetto Varchi, Erc. 94[2])

    L'origine della locuzione non è però chiara. Nelle note al Malmantile racquistato (1688), Paolo Minucci si limita a parafrasare la locuzione così:

    « L'aia è un luogo troppo piccolo per un cane da caccia »
    (Paolo Minucci sub voce "E co' suoi punti mena il can per l'aja"[3])

    La parafrasi a sua volta fa intuire che il cane da caccia, abituato a spazi più ampi, a boschi e luoghi scoscesi, non vada utilmente condotto in spazi ristretti.zi84ixh4gdx2g8wuenba

    Forse l'immagine è metaforica dell'atto locutorio[senza fonte]: come il cane si aggira per l'aia senza mai trovare ciò che gli serve, così la lingua di chi parla si muove a vuoto senza mai arrivare al punto.5pgn8mxp95ij1yzj0lh3

    Secondo un'altra interpretazione[senza fonte], chi mena il can per l'aia cerca di creare confusione (liberando, appunto, il cane nell'aia, in mezzo alle galline) per evitare di focalizzare l'attenzione su ciò che è sgradito.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Menare_il_can_per_l'aia

    Edited by maia - 18/7/2011, 09:26
     
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  5. maia
     
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    Linfanticidio "di moda"a Roma

    prima dell'avvento della contaccezione la pianificazione familiare seguiva modalita' a dir poco cruente.nelle province dell'impero le gravidanze indesiderate si risolvevano con l'infanticidio:lo rivelano due ricercatori britannici che hanno analizzato scheletri di 97 bambini rinvenuti quasi un secolo fa nella villa romana di Hambelden(nel sud est dell'Inghilterra),forse un antico bordello attivo tra il I e IV secolo d.C.le spoglie appartenevano a neonati deceduti subito dopo il parto:e' la prova che non si tratta di un comune uso funerario,dove l'eta' delle vittime e' solitamente meno omogenea.la stessa caratteristica e' stata osservata anche per un centinaio di bambini morti ad Ascalona,in Israele.qui i piccoli furono prima soffocati e poi gettati in un canale di scolo a ridosso di quella che era una casa chiusa
     
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  6. maia
     
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    un uomo si trovava in alto mare ,in balia di una tempesta.disperato,si lamentava invocando l'aiuto di Dio.improvvisamente arriva una nave che vuole trarlo in salvo.lui non accetta l'aiuto e risponde che c'e' Dio per aiutarlo.intanto continua a lamentarsi invocando sempre l'aiuto di Dio;ad un tratto vede arrivare una seconda nave che,come la prima,vuole salvarlo.lui ancora una volta rifiuta perche' e' convinto che solamente Dio possa aitarlo.intanto la tempesta infuria e lui muore e si presenta a Dio e gli chiede:"perche' non mi hai salvato?".
    e Dio gli risponde:"Ti ho mandato due navi e tu non ne hai preso neppure una!"

     
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    put off your hand from my god of war !!!!!!

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    CITAZIONE (maia @ 25/10/2011, 10:38) 
    un uomo si trovava in alto mare ,in balia di una tempesta.disperato,si lamentava invocando l'aiuto di Dio.improvvisamente arriva una nave che vuole trarlo in salvo.lui non accetta l'aiuto e risponde che c'e' Dio per aiutarlo.intanto continua a lamentarsi invocando sempre l'aiuto di Dio;ad un tratto vede arrivare una seconda nave che,come la prima,vuole salvarlo.lui ancora una volta rifiuta perche' e' convinto che solamente Dio possa aitarlo.intanto la tempesta infuria e lui muore e si presenta a Dio e gli chiede:"perche' non mi hai salvato?".
    e Dio gli risponde:"Ti ho mandato due navi e tu non ne hai preso neppure una!"

    quest'uomo era talmente scemo che non ha capito che gliele aveva inviate Dio
     
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  8. maia
     
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    che cosa sono i Netsuke

    I Netsuke sono piccole sculture di solito in avorio o in legno la cui origine risale probabilmente al XV secolo.

    Queste piccole sculture erano forate da due buchi per i quali passava un cordoncino in seta ed erano destinate a fissare alla cintura del kimono la scatoletta delle medicine o la scatola del tabacco o l'astuccio della pipa.

    I netsuke erano fondamentalmente concepiti per il loro uso: gli abiti (kimono) giapponesi non avevano le tasche, così i piccoli oggetti o cose che le persone si portavano appresso venivano messi in dei contenitori (inro) (porta monete, porta tabacco, porta spezie etc.) attaccati a una cintura (obi) di seta tramite una corda (himo), e per evitare che questi contenitori scivolassero via, all’estremità opposta della corda veniva attaccato un bottone (netsuke da ne: legna e tsuke: bottone). Tutti questi accessori sull’abito non avevano solo uno scopo pratico ma venivano anche usati come ornamento, in particolare il netsuke. La moda di portare qualche oggetto elegante si diffuse agli inizi del XVII secolo (1600): all’inizio, i netsuke venivano considerati semplici bottoni di avorio e metallo; occasionalmente, venivano impiegati grossi pezzi di avorio con al centro una placca con una figura, così nacquero i MANJU NETSUKE, con un corpo a forma di scodella, la maggior parte dei quali in avorio decorati con al centro un disco di metallo inciso circolare. I netsuke con figure tridimensionali si diffusero solamente nel XVIII secolo (1700). La crescente domanda di netsuke con figure artistiche fu dovuta al fatto che i commercianti, dediti al'uso del tabacco, divennero la classe dominante agli inizi del 1700: dal tempo dei primi portoghesi che importarono il tabacco agli inizi del 1600, essere fumatore divenne molto popolare specialmente tra i mercanti e gli artisti/artigiani, e il fumare divenne un rito che precedeva tutti gli incontri commerciali; così come per la cerimonia del tè, gli accessori per fumare venivano notati e ammirati e i netsuke cominciarono a ricevere le prime attenzioni.

    Passaggio dall’oggetto-funzionale all’oggetto-opera d’arte

    Se si osserva un netsuke realizzato a partire dai primi anni del 1800 si nota un netto miglioramento nello stile: i soggetti sono composti con grande attenzione ai dettagli. Durante il periodo Meiji (1867-1912) il Giappone aprì le porte all’occidente, il concomitante sconvolgimento politico e sociale colpì e rimosse il tradizionale indumento giapponese, il kimono, e di conseguenza divennero inutili anche gli stessi netsuke. Tuttavia gli intagliatori di avorio non scomparirono, e cominciarono a lavorare soprattutto per il mercato estero; da quando il Giappone prese parte all’esposizione mondiale di Parigi del 1867 e di Vienna del 1873, le arti e i manufatti Giapponesi divennero moda, e anche i netsuke ricevettero grande attenzione.

    netsukerat

    netsukeset

     
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  9. maia
     
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    De gustibus non est disputandum
    Sui gusti non si discute. Comunemente si crede che questa frase provenga dai classici latini; qualcuno, in passato, l'attribuiva addirittura a Cicerone. La grossolanità della frase non ha niente a che vedere con la finezza d'espressione dei nostri classici, e nessuno mai, a quell'epoca si sarebbe sognato di aggiungere quell'est così pleonastico, limitandosi, semmai, a dire: "De gustibus non disputandum". La massima, quindi, deve senz'altro far parte di quel linguaggio aulico tanto caro ai dotti medioevali, che poi è rimasto in vigore nel linguaggio giuridico, e appartiene a quel bagaglio di modi di dire, che vanno dal latino maccheronico, tipo "Gratatio captis facit recordare cosellas" (il grattamento di testa fa ricordare le cose spicciole) e "Non est de sacco ista farina tuo" (questa non è farina del tuo sacco), a frasi ancora oggi usate nelle aule di giustizia, come "Testis unus, testis nullus" (un solo testimone non è attendibile) e "De minimis non curat praetor" (il pretore non tiene conto delle cose molto piccole).

     
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  10. maia
     
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    Fotografia

    La parola fotografia deriva dall'unione di due parole di origine greca luce (φῶς | phôs) e grafia o scrittura (γραφή | graphis), le quali letteralmente unite significano "scrivere con la luce".[1][2][3]

    La fotografia è un processo per la registrazione permanente di un'immagine statica, proiettata per mezzo di un sistema ottico su una superficie fotosensibile (pellicola con emulsione chimica, per la fotografia tradizionale; sensore elettronico per la fotografia digitale).

    Con il termine fotografia si indicano tanto la tecnica quanto l'immagine ripresa e, per estensione, il supporto che la contiene.

    L'estrema versatilità di questa tecnica ne ha consentito l'utilizzo nei campi più diversi delle attività umane, dalla ricerca scientifica all'intrattenimento, dalla pubblicità al giornalismo, fino a consacrarla come autentica forma d'arte.

    Storia [modifica] Per approfondire, vedi la voce Storia della fotografia.

    La parola fotografia deriva da due parole greche: luce (φῶς | phôs) e grafia (γραφή | graphis). Fotografia significa quindi scrittura (grafia) con la luce (foto). La fotografia nasce dai risultati ottenuti sia nel campo dell'ottica, con lo sviluppo della camera oscura, sia in quello della chimica, con lo studio delle sostanze fotosensibili. La prima camera oscura fu realizzata molto prima che si trovassero dei mezzi chimici per fissare l'immagine ottica in essa prodotta; il primo ad applicarla in ambito fotografico fu il francese Joseph Nicéphore Niépce, cui convenzionalmente viene attribuita l'invenzione della fotografia, anche se studi recenti rivelano tentativi precedenti, come quello di Thomas Wedgwood[4].

    Nel 1813 Niépce iniziò a studiare i possibili perfezionamenti alle tecniche litografiche, interessandosi poi anche alla registrazione diretta di immagini sulla lastra litografica, senza l'intervento dell'incisore. In collaborazione con il fratello Claude, Niépce cominciò a studiare la sensibilità alla luce del cloruro d'argento e nel 1816 ottenne la sua prima immagine fotografica (che ritraeva un angolo della sua stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta sensibilizzato, forse, con cloruro d'argento.

    L'immagine non poté essere fissata completamente, e Niépce fu indotto a studiare la sensibilità alla luce di altre sostanze, come il bitume di Giudea, che diventa insolubile in olio di lavanda dopo l'esposizione alla luce.


    J. N. Niépce: Vista dalla finestra a Le Gras, 1826. Il tempo d'esposizione di 8 ore dà l'impressione che il sole illumini gli edifici sia da destra che da sinistra.La prima produzione con la nuova sostanza fotosensibile risale al 1822. Si tratta di un'incisione su vetro raffigurante papa Pio VII. La riproduzione andò distrutta poco dopo e la più antica immagine oggi esistente fu ottenuta da Niépce nel 1826, utilizzando una camera oscura il cui obiettivo era una lente biconvessa, dotata di diaframma e di un basilare sistema di messa a fuoco. Niépce chiamò queste immagini eliografie.

    Nel 1829 fondò con Louis Daguerre, già noto per il suo diorama, una società per lo sviluppo delle tecniche fotografiche. Nel 1839 il fisico François Arago presentò all'Accademia delle Scienze di Parigi il brevetto di Daguerre, chiamato dagherrotipia; la notizia suscitò l'interesse di William Fox Talbot, che dal 1835 testava un procedimento fotografico, la calotipia, e di John Herschel, che lavorava, invece, su carta trattata con sali d'argento, utilizzando un fissaggio a base di tiosolfato sodico.

    Nello stesso periodo, a Parigi, Hippolyte Bayard ideò una tecnica usando un negativo su carta sensibilizzata con ioduro d'argento, dal quale si otteneva poi una copia positiva. Bayard fu però invitato a terminare gli esperimenti per evitare una concorrenza con Daguerre.

    Lo sviluppo della dagherrotipia fu favorito anche dalla costruzione di apparecchi speciali dotati di un obiettivo a menisco acromatico ideato nel 1829 da Charles Chevalier.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Fotografia

    la carie e' contagiosa?
    la carie e' provocata da batteri di diverse specie(il piu' frequente e' lo steptococcus mutans)che,al pari di tutti gli altri batteri,possono trasmettersi da una persona all'altra.e' molto comune che i bambini,particolarmente vulnerabili all'attacco di questi microrganismi,prendano la carie dalla mamma,per esempio,se questa per mangiare usa lo stesso cucchiaio del bambino,o se mette in bocca il ciuccio nell'intento di "pulirlo".il contagio puo' avvenire anche fra partner,attraverso i baci.allostesso modo possono trasmettersi le malattie gengivali causate da batteri.affinche' i microrganismi attecchiscano,tuttavia,e' necessario che trovino un ambiente favorevole.in particolare,lo smalto deve essere un po' eroso,processo favorito dall'assunzione di zuccheri che,determinando acidita' nella bocca,danneggiano lo strato piu' superficiale dei denti.

    da Focus
     
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  11. maia
     
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    SHANGHAI - È nato a Shanghai il primo tribunale on line. Secondo quanto riferisce lo Shanghai Daily, nel distretto di Xuhui è stato creato il primo tribunale via internet che consente alle parti di discutere le cause e di risolverle attraverso un servizio basato su testo e voce. Il sistema è organizzato in modo che ognuna delle parti, giudice compreso, abbia una user name e password, utilizzabile una volta sola, per accedere all’udienza.

    La causa viene quindi discussa on line, scrivendo o parlando come in una chat e tutto viene poi automaticamente registrato su un disco. Le parti possono anche inviare eventuali accordi alla corte con la propria firma.

    Secondo Hou Rongkang, uno dei giudici della corte, il processo on line è più veloce ed efficace per le parti rispetto ai metodi tradizionali.

    Attraverso un apposito sito web è poi possibile scaricare i moduli necessari per presentare denunce alla corte, che risponderà direttamente on line entro 15 giorni. Se avrà successo il nuovo sistema potrebbe essere esteso via via ad altri distretti o ad altre città.
     
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  12. maia
     
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    origine del saluto militare

    L'origine medievale [modifica]Una delle versioni più plausibili sul gesto di portarsi la mano alla fronte deriva dal fatto che durante il Medioevo in Europa i soldati indossavano le armature, elmi compresi, e per farsi riconoscere dai propri superiori o dai loro stessi alleati si portavano la mano sulla fronte nell'atto di alzare la celata, ossia la visiera dell'elmo. Tale gesto rimase in uso anche dopo la dismissione delle armature e degli elmi classici.

    Un'altra versione riferisce che il gesto di portare la mano al capo richiami quello dei cavalieri medievali che, prima di affrontare l'avversario, chinavano la visiera, anche in omaggio al nemico che avevano di fronte: infatti nell'esercito italiano durante il cosiddetto "saluto al basco" la mano si tiene rigidamente distesa ma leggermente inclinata in avanti, proprio a richiamare la visiera dell'elmo che si chiude.

    C'è da aggiungere che a quell'epoca, visto che nella maggior parte dei casi gli eserciti erano composti da più gruppi non regolari di truppe create o assoldate dai signori o nobili feudali, che combattevano per i loro interessi territoriali locali o su richiesta dei regnanti o imperatori, le armature o gli stendardi di riconoscimento non erano uniformi come sono state in seguito le divise tipiche dei corpi delle forze armate, ed i pochi fregi o simboli di riconoscimento erano poco visibili in lontananza.

    L'origine moderna [modifica]Secondo altre fonti[senza fonte] esso farebbe data dalla fine del settecento. Sino a quel periodo, infatti, il militare di fronte al superiore usava levarsi il copricapo, come nel mondo civile. Tuttavia a partire da quel periodo i copricapi diventarono sempre più voluminosi e dovevano essere assicurati al portatore con soggoli o cinghie che rendevano laborioso, difficoltoso e, in ultima analisi, poco proponibile, il gesto di scoprirsi la testa in segno di deferenza. Prese quindi piede il mero accenno a questo e, di conseguenza il saluto venne a poco a poco a formalizzarsi nell'esecuzione, sino a differenziarsi da analoghi gesti del mondo civile.

     
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  13. maia
     
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    il ferro di cavallo come porta fortuna

    L'origine di questa tradizione consiste nella leggenda di Saint Dunstan, un fabbro che diventò arcivescovo di Canterbury nell'anno 959. Inchiodò un ferro di cavallo allo zoccolo del diavolo mentre gli era stato chiesto di ferrare il suo cavallo. Il diavolo fu liberato solo dopo che ebbe promesso di non entrare mai più in un luogo protetto da un ferro di cavallo sulla porta.

    Secondo altre fonti l'origine del ferro di cavallo come porta fortuna e scaccia malocchio è data dalla sua forma a rappresentare un apparato genitale femminile; era credenza comune che il malocchio e il maligno potessero facilmente essere distratti da una tentazione sessuale e così facendo non si interessassero più di entrare nella casa davanti alla quale fosse esposto o ai possessori di tale oggetto. Nel medioevo spesso sulle facciate delle chiese e sui loro portoni si trovavano bassorilievi raffiguranti genitali femminili molto espliciti proprio con lo scopo di catturare l'attenzione di demoni e non far entrare spiriti maligni, tutte queste incisioni troppo esplicite furono rimosse nel tempo. vedi: L'animale donna di Desmond Morris.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Ferro_di_cavallo
     
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  14. maia
     
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    dell'osso sacro si chiamerebbe cosi' perche'in esso esiste un energia divina chiamata "kundalini"(dal sanscrito kundal (spirale), a forma di serpente che, se risvegliata,puo apportare benefici fisici,psicologici, e può far ottenere l"illuminazione divina",la realizzazione del se'.
     
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  15. maia
     
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    perche' il "!" si scrive cosi'?

    l'origine del punto esclamativo,detto anche ammirativo o "punto affettuoso" ma anche "punto patetico" risalirebbe al Medioevo quando i copisti del XV secolo iniziarono ad inserire l'interiezione latina "io",cioe' "evviva",al termine di frasi che esprimevano stupore,esultanza,sorpresa,ma anche rabbia e felicita'.nel corso del tempo,la "i" fini' per spostarsi,trasformandosi nell'attuale asta del punto esclamativo e andando a collocarsi sopra la "o",che rimpoccioli',riducendosi ad un puntino.fino alla grafia odierna.
     
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144 replies since 2/10/2005, 10:28   2175 views
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