Riportare in vita i morti – The Frankenstein Project

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    VECCHI ESPERIMENTI

    Giovanni Aldini, figlio di Giuseppe Aldini e di Caterina Galvani, sorella del celebre fisico e fisiologo Luigi Galvani (famoso per lo studio dell'elettricità animale), Insegnò fisica sperimentale presso l'Università di Bologna dal 1798, dove prese il posto del suo maestro Sebastiano Canterzani. Incentrò i suoi studi sulle applicazioni dell'elettricità in campo medico e sull'illuminazione. Nel 1807 pubblicò a Londra uno studio sul galvanismo intitolato “An account of the late improvements in Galvanism” nel quale asserisce che in determinate condizioni sarebbe possibile riportare in vita un cadavere mediante stimoli elettrici, una teoria che troverà poi spazio nel romanzo Frankenstein, di Mary Shelley.

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    Sempre mediante stimoli elettrici, durante i suoi spettacoli, induceva movimenti spasmodici ai muscoli facciali, alle braccia e alle gambe di esseri umani e di animali. Con i suoi studi perseguiva l'obiettivo di riportare in vita i morti, ma in quasi tutta l'Europa i condannati a morte venivano decapitati. Allora si spostò a Londra nel 1803, in quanto paese più vicino dove vigeva la condanna a morte per impiccagione. Nelle carceri trovò un uomo che definiva ideale per i suoi esperimenti: George Forrest, accusato di aver ucciso moglie e figlia e in attesa di verdetto. Entrato in possesso del corpo, lo scienziato eseguì un esperimento pubblico utilizzando una grande pila, sconvolgendo i presenti a tal punto da provocare (indirettamente) la morte del suo assistente la notte stessa per infarto, dovuto con ogni probabilità al terrore provocato dall'esperimento (sebbene alcuni pensano che, in assenza di Aldini, il morto avesse ripreso veramente vita, e si fosse mostrato a lui).

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    Durante l'esperimento il cadavere ricominciò a respirare e il suo cuore a battere. Secondo gli scienziati, Aldini riuscì per pochissimo tempo a ristabilire alcune funzioni fisiologiche del corpo, pur non alterandone lo stato di morte cerebrale. Gli stimoli di movimento, infatti, erano derivanti da input esterni. Grazie ai denari da lui lasciati fu fondata una scuola di scienze naturali a Bologna. Insieme al concittadino Luigi Galvani, fu di grande ispirazione per Mary Shelley nella creazione del libro di Frankenstein.

    Fonte: Wikipedia

    GLI ESPERIMENTI SOVIETICI

    Nella Russia sovietica di metà anni ’20 un gruppo di scienziati guidati dal Dr. Sergei Sergeyevich Brukhonenko (1890 – 1960) inizia a fare esperimenti di questo tipo sugli animali, nel caso specifico sui cani: già nel 1928 l’equipe di Bryukhonenko presentò dinnanzi alla comunità scientifica russa la prima testa di cane che, priva del resto del corpo, rispondeva ad alcuni stimoli esterni. In sostanza era stata creato un meccanismo che riproduceva le funzioni del cuore e dei polmoni, potente a tal punto da poter far «resuscitare» la parte del corpo che non li possiede.

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    Quella testa riuscì a rimanere in vita per alcune ore, ovvero sino a quando le cellule presenti nel sangue non iniziarono a disintegrarsi lentamente, rispondendo prontamente alle sollecitazioni che lo scienziato gli presentava: battiti di martello, cibo ed acido citrico. Bryukhonenko sostenne che quella macchina era in grado di far rivivere anche un corpo intero, ma non più di 15 minuti. Si ipotizza recentemente che vi furono davvero prove su cadaveri umani. Il regime comunista non esitò nel divulgare la notizia per questioni d’immagine, per voler dimostrare la propria superiorità in campo medico e scientifico rispetto agli oppositori. Ciò nonostante il vero scopo di tali ricerche, stando a quanto emerso dopo la caduta del muro di Berlino, era quello di creare dei mostruosi robot con testa canina, delle macchine da guerra, pronti a rispondere ad ogni comando. Al tempo non v’era la tecnologia adatta per ricreare un cervello umano o animale, per cui la testa «originale» era necessaria affinché una mostruosità del genere potesse funzionare.
    In vero, non esistono documenti reali che attestino ricerche di questo tipo anche su uomini, ma le probabilità che la scienza russa, protetta dal segreto del regime, abbia successivamente tentato esperimenti anche su cavie umane è alta. Siamo tuttavia certi che Stalin, nei primi anni al potere, abbia espressamente richiesto la creazione di un “superuomo”, un ibrido tra uomo e gorilla capace d’avere l’intelligenza del primo e la forza bruta del secondo, da usare naturalmente per scopi bellici. Il leader comunista, stando ad alcune fonti, avrebbe inoltre finanziato le ricerche mediche con il fine di poter “rianimare” i corpi dei soldati più valorosi.
    Sempre in Russia, solo 30 anni più tardi, il Dr. Vladimir Petrovich Demikhov (1916 – 1998) riuscì a creare un abominio: un cane a due teste.

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    La mitologia greca ci offre un corrispettivo: Ὄρθος (“Orto“), fratello di Cerbero, della Chimera e dell’Idra, custode della mandria di Gerione e ucciso da Eracle nella sua decima fatica.
    Questo orrore era la commistione d’un cane di piccola taglia, ormai in fin di vita, e uno di grossa taglia sano. L’esperimento, oltre ad essere mirato per la progressione in campo medico dei trapianti, voleva essere una vera e propria dimostrazione che la morte può essere rallentata o del tutto fermata in alcuni casi. Sfortunatamente per Demikhov la maggior parte di quei poveri animali non sopravvissero a tali interventi e quelli che riuscirono a salvarsi non superarono il mese di vita, spesso costellato da atroci sofferenze fisiche.
    Sebbene l’eterna paura della morte nutrita dall’uomo sia stata esorcizzata nei millenni numerose volte e con metodi diversi, taluni esperimenti che di medico e scientifico hanno solo l’apparenza non possono essere giustificati esclusivamente in nome del “progresso”, quel progresso che mira persino a voler prevaricare i confini naturali dell’esistenza e, nel raggiungere tale obiettivo, procura enormi sofferenze a creature indifese. Ad oggi, come avevamo accennato in precedenza, non si è certi di quali, e quanti altri test simili, son stati effettuati nei laboratori sovietici, ma l’aura di mistero che ricopre tali ricerche contribuisce ad accrescere il timore che i pochi esperimenti venuti alla luce siano solo “la punta dell’iceberg“.

    Autore: Lorenzo
    Fonte: http://www.veniteadme.org


    GLI ESPERIMENTI AMERICANI


    Una società biotech statunitense, la Bioquark di Philadelphia, ha ricevuto l'autorizzazione a tentare di rianimare dei pazienti dichiarati clinicamente morti. Non si tratta di folli esperimenti in stile Frankenstein, ma di trial clinici mirati a comprendere se il sistema nervoso centrale possa essere riportato in vita. Una commissione dei National Institutes of Health negli Stati Uniti ed in India ha garantito alla Bioquark di Philadelphia il permesso di provare a rianimare il cervello di 20 pazienti dichiarati clinicamente morti per gravi traumi al cervello e tenuti in vita dalle macchine.

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    Se si riuscirà a rianimare parti del midollo spinale superiore, è scientificamente plausibile che questo possa permettere di ristabilire le funzioni respiratoria e circolatoria in modo autonomo, ossia senza il supporto dei macchinari. "Questo trial è il primo del suo genere ed un altro passo in avanti verso il rovesciamento della morte nel corso della nostra vita", spiega Ira Pastor, CEO di Bioquark, al Telegraph. La prima fase dei trial del cosiddetto ReAnima Project prevede i tentativi di "resuscitare i morti", o per meglio dire la loro attività cerebrale, sfruttando una combinazione di tecniche che vanno dalla somministrazione di farmaci alla stimolazione nervosa sino all'utilizzo di terapie laser.

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    In subordine, i ricercatori proveranno a verificare se i loro sforzi siano quantomeno in grado di produrre dei cambiamenti nelle meningi, le membrane che rivestono il sistema nervoso centrale. I trial veri e propri dureranno sei settimane e saranno condotti presso l'Anupam Hospital di Rudrapur, India, non appena Bioquark avrà ottenuto l'autorizzazione dalle famiglie dei 20 pazienti. Dopodiché, i soggetti coinvolti saranno monitorati per alcuni mesi alla ricerca di cambiamenti significativi. "Speriamo di vedere dei risultati nei primi due o tre mesi", afferma la Pastor. Come detto, saranno utilizzate diverse tecniche nel tentativo di verificare quale possa rivelarsi la più efficace.
    Nello specifico, ci saranno quattro tipi di trattamento:
    a) L'iniezione di cellule staminali nel cervello due volte a settimana;
    b) Terapia laser transcraniale, una forma di trattamento non invasivo che prevede di utilizzare la luce per attivare il naturale processo di recupero del corpo che è già stata testata (con risultati alterni) su ictus, emicrania e morbo di Parkinson;
    c) Iniezione quotidiana di peptidi nel midollo spinale;
    d) Stimolazione nervosa, un trattamento non invasivo che prevede l'utilizzo di impulsi elettrici sul nervo mediano.
    Molto spesso i corpi di pazienti cerebralmente morti riescono ancora a svolgere certe funzioni, come la digestione, la cura delle ferite e, in alcuni casi, persino combattere le infezioni e portare avanti una gravidanza. Riuscire a far "ripartire" il cervello e farlo funzionare nuovamente potrebbe essere un primo passo lungo una strada che porta al far recuperare ai pazienti la vita, o quantomeno qualcosa di simile. Ad ogni modo, questa strada è particolarmente lunga. "Da parte nostra c'è una visione a lungo termine sul fatto che esista la possibilità di un pieno recupero in questi pazienti, sebbene questo non sia la parte principale di questo primo studio, che è invece un ponte verso questa eventualità", spiega la Pastor.
    In precedenza anche Sam Parnia, della Stony Brook University School of Medicine, ha pubblicato un libro dal titolo emblematico: “Erasing Death: The Science That is Rewriting the Boundaries Between Life and Death” (Cancellare la morte: la scienza sta riscrivendo i confini tra la vita e la morte).


    In questo suo libro, presentato nel 2013 alla trasmissione televisiva della americana NBC, “Today Show”, lo scienziato ribadisce come una persona che sia dichiarata clinicamente morta possa invece essere riportata in vita. Come? Lo spiega lo stesso professore: «I progressi negli ultimi 10 anni ci hanno dimostrato che dopo che una persona muore, si trasforma in un cadavere soltanto quando le sue cellule cerebrali cominciano a morire, riporta Discovery News e anche se la maggior parte delle persone pensa che questo avviene in soli quattro o cinque minuti, ora sappiamo che in realtà le cellule cerebrali sono vitali per un massimo di otto ore... Adesso sappiamo che è solo dopo che una persona si è trasformata in un cadavere che le sue cellule stanno davvero morendo, e se quindi manipoliamo quei processi, siamo in grado di riavviare il cuore e riportare una persona in vita».

    Fonte: http://it.ibtimes.com

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  2. AlieNiko
     
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    Rinunciai a creare un thread al riguardo perché mi imbattei negli agghiaccianti esperimenti sugli animali e sulle relative foto...ecco perché per quanto fascinoso resti l'argomento non riesco a sopportare tanta crudeltà nei confronti di poveri esseri indifesi é più forte di me.
     
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    Anch'io. E' da qualche mese che tra abbozzi e aggiustamenti è pronto, poi alla fine l'ho postato.
     
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2 replies since 23/7/2016, 18:01   396 views
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